Teatro

EDWARD HOPPER

EDWARD HOPPER

“If I could say it in words, there'd be no reason to paint”. Se potessi esprimerlo con le parole, non ci sarebbe nessuna ragione per dipingerlo: così Edward Hopper a spiegare la necessità della sua pittura, immagini in cui domina il senso di attesa, dove le persone paiono non avere occupazioni, abbandonate, intrappolate nello spazio della propria attesa (beckettianamente), persone che si fanno compagnia da sé, senza una chiara destinazione, senza futuro. Hopper è il creatore delle immagini più indelebili dell'arte americana: tavole calde, cinema, case middle class che rispecchiano la vita soprattutto nel periodo fra le due guerre mondiali. Nato nel 1882 nello stato di New York, non lontano dall'omonima città e cresciuto in un periodo di grande ottimismo ed orgoglio nazionale, Hopper, pur evitando la denuncia sociale, riflette nelle sue opere l'interesse della gente comune e i luoghi della vita ordinaria, soggetti che riesce a rendere in modo evocativo e profondo. La prima sezione è dedicata agli autoritratti e presenta anche schizzi, soprattutto di mani. Poi Hopper illustratore: a 17 anni si iscrive alla New York school of illustration, ottenendo molte lodi, tanto che a soli 24 anni diviene illustratore. La sua formazione scolastica si incentra prevalentemente sul realismo, sperimentando in particolare gli interni. Si mantiene come illustratore, dal cui esercizio riceve uno spiccato senso del colore, la perizia grafica e la cura per dettagli rivelatori. Compie tre viaggi a Parigi, nel 1906/07, nel 1909 e nel 1910: non va a scuola, girovaga per la città, osserva, disegna e dipinge, consuetudine che manterrà per tutta la lunga vita (una produzione su oltre sessant'anni). Indifferente alle avanguardie, Hopper è attratto da Manet e Degas; qui la sua tavolozza è ancora scura, solo più tardi si farà più luminosa e le pennellate più abbozzate. La luce è quasi impressionista. Dipinge sia interni chiusi che esterni, famosi e non: Notre Dame e il Louvre, i lungosenna e i ponti. Tornato a New York dipinge “Soir bleu” (ricordo parigino con il pagliaccio triste) e rimarrà sempre francofilo. Anche nelle incisioni Hopper svela momenti privati dietro alle finestre o di notte per la strada: le ombre si allungano rendendo surreali quelle che invero sono scene comuni. In “Night shadows”, come nelle altre, prevale un contrasto netto fra gli inchiostri neri e i fogli bianchi. Hopper è solito partire da un bozzetto, ma solo per fissare un'idea. Infatti i bozzetti non verrano mai esposti. In questa mostra è possibile, dal confronto ravvicinato di questi con le opere definitive, capire molto della sua pittura, sia nella modalità esecutiva che nei contenuti. Gli esempi migliori mi sono parsi: la palazzata grigia sul fiume di “Apartment houses – East river”, le case rosse di legno di “Cobb's Barns – South Truro”, il ponte della diga di Macomb con l'acciaio prepotente, il teatro Sheridan con la balaustrata curva, “Pennsylvania Coal Town” e il segno preciso di una scala in interno. I bambini hanno a disposizione gratuitamente un taccuino in cui tracciare schizzi e appunti; possono anche farsi riprendere e fotografare in un set ricavato da un quadro di Hopper. Molto belle le foto in bianco e nero del pittore distribuite lungo il percorso della mostra. Dal 1909 Hopper comincia a ritrarre donne assorte, spesso nude o semisvestite, da sole in interno, distanti dalle successive figure (dagli anni Trenta in poi) rigide, in abiti attillati, indurite nei tratti del volto. Prevale la misoginia sulla tenerezza: domina un senso di isolamento urbano, più che la consolazione dalla solitudine. Nella sezione “Hopper e l'erotismo” figure femminili sedute sul letto o in piedi davanti a finestre aperte su mondi solitari, disabitati. La sua ispiratrice ed unica modella è la moglie Josephine. L'ultima sezione “Tempo, luogo e memoria” presenta la produzione più conosciuta dal grande pubblico, dominata da silenzio e immobilità: edifici anonimi all'alba o in pallidi tramonti, la luce del sole ai lati delle case. Verso la fine la produzione si carica di maggiore solennità, come se, dietro l'apparente realismo, premessero per emergere i ricordi e le esperienze interiori. Splendidi sono “Cape Cod sunset” e “Second Story Sunlight”, icona della mostra e copertina dell'ottimo catalogo Skira, che contiene grandi riproduzioni di tutte le opere in mostra (tele, disegni e acquerelli) e illuminanti saggi sul pittore, regista della moderna inquietudine e dei contemporanei, freddi silenzi. Milano, Palazzo Reale, fino al 31 gennaio 2010, aperta lunedì dalle 14,30 alle 19,30, da martedì a domenica dalle 9,30 alle 19,30 (giovedì chiusura posticipata alle 22,30), ingresso euro 9,00, catalogo Skira, infoline 199.202.202 – 0445.230304, sito internet www.edwardhopper.it, la mostra sarà poi visitabile a Roma, Fondazione Roma Museo (dal 16 febbraio al 13 giugno) e a Losanna, Fondazione Hermitage (dal 25 giugno al 17 ottobre).